Allo scoppio della guerra, Baden Powell, il fondatore degli scouts,
si trovava in Africa, a Nairobi, la capitale del Kenia.
In un suo messaggio scriveva, tra l’altro:
«Ho potato dei rosai nel mio giardino del Kenia, il che non è un’occupazione
di primaria importanza in tempo di guerra.
Non ne sono orgoglioso (…).
Ma è la sola attività all’aria aperta che mi ha permesso il medico (aveva ottantuno anni!).
Alcuni li avevo potati troppo e temevo di averli fatti morire.
Ma non fu così. Fiorirono meglio degli altri (…).
La guerra ha potato il nostro movimento togliendogli capi e rovers (…).
In altri paesi, la potatura è stata ancor più radicale.
In certi casi i nazifascisti hanno tagliato i movimenti fino alla radice ed
hanno tentato di sostituirli con altre piante, quali la gioventù hitleriana ed i balilla.
Ma le radici esistono ancora!
Quando la primavera della pace tornerà, per la bontà di Dio,
le piante produrranno nuovi polloni, tanto più forti e più numerosi,
quanto più esse saranno state messe alla prova».
L’inverno è passato; è tornata la primavera e, con essa, sono tornate la fine
della guerra e la libertà e tante altre cose belle. Le stagioni, però,
continuano nel loro alternarsi.
E già nuovi inverni (come i mostri dei quali parla Mario Sica nella sua lettera) sono venuti.
Ma le radici, profondamente piantate nel terreno buono, non muoiono.
L’inverno non può loro nuocere più tanto, ed i rosai rifioriranno ad ogni
nuova primavera, fino alla primavera che non finisce, dove non ci sarà più
né inverno, né notte, perché il Signore Dio li illuminerà, e regneranno per
sempre» (Ap 22,5).
Da “L’Inverno e il Rosaio”
Editrice ANCORA – MILANO